LUOGHI DA CONOSCERE
La casa di Monet a Giverny


IMPRESSIONI Dl UN GIARDINIERE

Maria Cristina Scalabrini

Il capolavoro di Claude Monet è un giardino: quello della casa di Giverny, delle Ninfee, il frutto maturo della passione di una vita. Quel giardino è oggi un museo che consente di rivivere buona parte della pittura del maestro attraverso il contatto diretto con il suo soggetto preferito.



Un autocromo (1923 circa), che ritrae Monet nel suo giardino a Giverny.












C
i sono musei che non racchiudono soltanto opere d'arte ma che custodiscono e conservano gelosamente una poetica, un modo di pensare e vivere la creazione artistica. La casa di Claude Monet a Giverny è uno di questi speciali luoghi dove la visita più che offrire la visione di tele e dipinti, permette di scoprire il contesto che ha favorito la nascita di straordinari capolavori. Infatti è proprio il giardino di Giverny, con i suoi viali alberati, i suoi archi fioriti, le sue aiuole curatissime, i suoi cespugli rigogliosi, la sua apoteosi di colori, che ha fatto scaturire dall'occhio e dal pennello di Monet le toccanti tele dei salici piangenti, dello stagno, del ponte giapponese, della casa tra le rose.




Colazione in giardino (1873), conservato al Musée d'Orsay di Parigi.



L'infinita serie delle ninfee non sarebbe potuta nascere, e non ci avrebbe raccontato la sua fantasmagorica armonia di luci e colori se non ci fosse stato questo giardino, la suprema e definitiva opera d'arte di Claude Monet. A testimoniare la costante passione per la botanica di Monet ci sono le sue tele: dei circa ottocento dipinti che Monet esegue prima di trasferirsi a Giverny nel 1883, più di un centinaio sono già dedicati a giardini o fiori.
«Ciò di cui ho bisogno sopra ogni cosa sono i fiori, sempre, sempre» confidava Monet a un amico. E tutta la sua vita è attraversata da questa passione che per il pittore è quasi un'esigenza fisica, fondamentale per la sua ricerca estetica tanto quanto per il suo equilibrio mentale. E ovunque abiti, Monet vive in una casa con giardino.









UN'OSSESSIONE: I FIORI

Dal 1871 fino al gennaio 1878 risiede ad Argenteuil, un villaggio non lontano da Parigi, sulla Senna, circondato da campi di papaveri. Claude, appena sposato con Camille Doncieux, prende in affitto una casa con giardino che gli offre una fonte veramente inesauribile di stimoli e sollecitazioni. Proprio qui nasceranno straordinari capolavori come le tele dedicate alla moglie e al figlioletto, Camille che legge, Camille e Jean o Colazione in giardino. Nella tranquilla atmosfera di Argenteuil la pennellata di Monet acquista una straordinaria freschezza, una incredibile varietà di sfumature stese a piccoli tocchi e capaci di rendere appieno la sottile magia di un giardino a primavera.
Che il giardino sia il luogo privilegiato della casa lo testimoniano anche le tele eseguite dagli amici pittori, ospiti abituali di Claude e Camille: nel 1873 Renoir realizza Monet che dipinge nel suo giardino ad Argenteuil, e l'anno successivo Manet esegue un intenso ritratto della famiglia proprio in questo luogo.
Nel 1878 il pittore assillato dai debiti lascia Argenteuil e, dopo un breve soggiorno parigino, si trasferisce nuovamente fuori città,







questa volta a Vétheuil, una cittadina situata anch'essa sulle rive della Senna. Sembra infatti che Monet non possa assolutamente stare lontano né dai fiumi né dai fiori. Se infatti la Senna gli offre la possibilità di studiare gli innumerevoli riflessi della vegetazione che si specchia nel fiume, i fiori invece gli consentono di catturare le colorate vibrazioni della natura.
Sono anni difficili e tristi: nel settembre del 1879, a soli trentadue anni, muore l'amata Camille. Malgrado le notevoli ristrettezze economiche, Monet coltiva anche qui un rigoglioso e lussureggiante giardino. E nel 1881 il pittore, che spesso deve rinunciare a lavorare perché non ha soldi per acquistare i colori, non riesce a resistere al fascino dei fiori che invadono il cortile e realizza quattro splendide tele. Con pennellate cariche di luce e di colore immortala il vialetto che conduce all'abitazione, la radiosa luminosità degli altissimi girasoli che lo fiancheggiano.

Sopra, Monet che dipinge nel suo giardino ad Argenteuil (1873), di Pierre-Auguste Renoir, conservato al Wadsworth Atheneum di Hartford (Mass.).
Sotto, Il giardino di Monet a Vétheuil (1881), conservato alla National Gallery di Washington.










GIVERNY

Nell'aprile del 1883 Monet si stabilisce a Giverny, un piccolo villaggio di trecento abitanti a settantacinque chilometri da Parigi sulla riva destra della Senna, proprio alla confluenza tra questo fiume e un braccio dell'Epte. Affitta una grande fattoria con più di un ettaro di terreno coltivato a vegetali e frutteti, un tipico orto normanno. Monet è entusiasta di vivere immerso nel verde, vicino a due corsi d'acqua, e si legherà sempre più a questo luogo trascorrendovi tutto il resto della sua vita. Gli ambienti della casa-museo, ricostruiti proprio come Monet li aveva pensati, restituiscono l'atmosfera calda e accogliente che permeava l'abitazione dove il pittore amava ricevere ospiti e offrire loro i piaceri della buona tavola.
Quando nel 1890 riesce ad avere la disponibilità economica per acquistare la grande casa dalla rustica facciata rosa e il terreno, li modifica radicalmente, trasformando l'orto in un rigoglioso giardino che diventerà ben presto la sua dolce ossessione: fino alla sua morte nel 1926 Monet dedicherà ogni sua energia e gran parte del suo patrimonio alla costruzione di questo luogo. «Tutti i miei soldi si trasformano in fiori», confesserà a Geffroy.
Abbattuto il frutteto e gran parte dei pini che separavano il viale centrale in due parti, smantellata l'ortaglia, il giardino viene completamente ridisegnato. Vengono tracciati viottoli per dividere lo spazio e sul sentiero centrale sono allestite delle strutture ad arco per accogliere le rose rampicanti. Il terreno fertilizzato viene seminato con dozzine di fiori diversi, attentamente accostati secondo il tipo e il colore, scelti perché possano fiorire continuativamente da primavera fino al tardo autunno. I fiori sono coltivati in larghi blocchi per creare grandi macchie cromatiche. Le masse fiorite, alternate in spettacolari sequenze, appaiono così simili a un prodigioso intarsio cromatico, mutevole e cangiante, magnetico allo sguardo.
Entusiasta di poter costruire una natura che segua le sue necessità estetiche, lavora alacremente e senza sosta: si abbona a riviste specializzate, legge trattati di botanica, consulta cataloghi ed esperti. Completamente assorbito da questo lavoro, si rende conto di trascurare addirittura la pittura: il giardinaggio è diventato un altro modo di esprimere la sua straordinaria creatività artistica. Nel 1892 assume quindi un giardiniere, Félix Breuil, ben presto seguito da altri cinque.
Compito fondamentale dei lavoranti è quello di rimuovere ogni fiore appassito, togliere la patina di terriccio e polvere che offusca le foglie, sostituire le piante rovinate.




Ninfee (1906), alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.


Il bacino delle ninfee. Armonia in rosa (1900), conservato al Musée d'Orsay di Parigi.


Monet dipinge ninfee nel suo studio a Giverny nel 1920.


Il bacino delle ninfee in una foto di inizio secolo.



Affidato a malincuore il lavoro a questi uomini, Monet si riserva comunque la scelta delle sementi, la selezione delle piante e il disegno generale del giardino. Passeggiando giornalmente tra i fiori cercando pace e ispirazione, ispeziona le piantumazioni e le crescite. Ama sperimentare nuove coltivazioni, provare nuovi accostamenti di colore e di forma.
Nel 1893 acquista un'altra porzione di terreno, separata dal giardino da una strada e dalla ferrovia, e progetta di installarvi uno stagno. Ottenuto il permesso dalla prefettura, devia il corso di un ruscello e realizza un invaso, che dopo poco viene allargato. Nasce così un nuovo rigoglioso giardino, radicalmente diverso dall'altro perché costruito tutto intorno all'acqua.
Le piante selezionate per questa porzione di terreno provengono soprattutto dall'Oriente e Monet si serve anche di un giardiniere giapponese. Proprio per avvicinarsi allo spirito asiatico fa costruire sullo stagno un ponte tipico di quel paese.
Se fino al 1898 Monet dipinge soprattutto i pioppi, i covoni, le cattedrali o le mattinate sulla Senna, dalla prima fioritura delle ninfee alla sua morte dipingerà invece quasi esclusivamente il giardino, realizzando più di cinquecento tele.
Monet sembra ridurre il mondo a ciò che lo circonda, a ciò che ama: i sentieri tra i fiori, lo stagno, le ninfee. Ma questo non è né riduttivo né limitante per la sua ricerca estetica. Gettarsi a capofitto nelle suggestioni del suo giardino significa per Monet affermare il primato dell'individuo, dell'unicità della visione. Si tratta di un sentimento panico, della ricerca di un'armonia profonda con la natura. Monet desidera proprio che il giardino sia espressione di questa armonia estetica, intensa e meditata.
Se i pittori impressionisti, la maggioranza, forse la totalità degli amici e colleghi di Monet si erano immersi nella natura per farla palpitare e rivivere nelle loro tele, nessuno aveva però pensato di adattarla alle proprie esigenze, alla propria ricerca pittorica. E Giverny è proprio la più alta e la più amata invenzione artistica di Monet. «Qui», spiega al giornalista Thiébault-Sisson mostrandogli lo stagno, «potete vedere tutti i motivi che ho trattato tra il 1905 e il 1914, a eccezione delle mie impressioni di Venezia».
Monet rimane per ore a osservare i salici piangenti, i bambù, le nuvole, i glicini e soprattutto le larghe ninfee che coltiva sul pelo dell'acqua, riflettendosi all'infinito nello stagno. Coglie ogni variazione di luce durante tutto l'arco della giornata e nel corso dell'intero anno. Non è l'artista a seguire la natura, ma è la natura a seguire Monet, che dipinge ogni magico istante, ogni rilucere dell'acqua. Usa tele sempre più grandi, sempre più alte.
E proprio per far fronte a questa esigenza nel 1915 Monet costruisce un nuovo studio, più largo e ampio e con il soffitto in vetro.









LA FONDAZIONE

Mentre i suoi problemi agli occhi diventano ogni anno più gravi, nella sua pittura il punto di vista è sempre più ravvicinato: non dipinge più lo stagno con le ninfee, ma un solo fiore, un solo riflesso dell'acqua, un solo effetto creato dall'erba del fondo. La pennellata si fa man mano più grassa e larga, il soggetto perde consistenza, la forma si dissolve, gli oggetti si sfaldano diventando pura macchia di colore, ammassi cromatici: Monet è giunto alle soglie dell'astrazione, aprendo la strada a nuove e feconde ricerche artistiche. Alla morte di Monet, nel 1926, la casa e lo splendido giardino passano in eredità al figlio Michel che nel 1966 lo cede all'Accademia di Belle arti. Ma purtroppo fin dalla seconda guerra mondiale il giardino e la casa versano in stato di abbandono. Occorrerà aspettare il 1977 perché si prendano delle iniziative per la ricostruzione del giardino e altri dieci anni finché si possano dichiarare completamente conclusi i lavori.
Il museo, inaugurato nel 1980, è gestito dalla Fondation Claude Monet e gode annualmente di generose donazioni di privati, soprattutto di nazionalità americana.





Monet nel suo studio a Giverny.



Il giardino è stato restaurato proprio come Monet l'aveva pensato: vicino alla casa il cosiddetto Clos Normand, di circa un ettaro, con le sue prospettive, i suoi archi fioriti, i suoi fiori altissimi, le sue innumerevoli varietà scelte in base alla colorazione, rossi accesi, viola brillanti e blu intensi che si intersecano con il verde della vegetazione; dall'altra parte della strada, accessibile con un sottopassaggio, il giardino d'acqua: lo stagno, le ninfee, i salici, i pioppi, i bambù, i gigli, i glicini. Percorrendo il giardino i quadri di Monet si ricompongono sotto i nostri occhi: sembra proprio di entrare in una delle sue tele, di camminare tra i suoi colori accesi, di essere immersi nei cangianti riflessi dello stagno.
Per ognuna delle oltre 500.000 persone che ogni anno raggiungono questo speciale museo, la visita si presenta differente. Questo luogo ha la particolarità unica di non essere mai lo stesso, di mostrarsi sempre sotto un aspetto diverso: ogni giorno, ogni settimana, ogni stagione la fioritura cambia, i colori si trasformano e quindi il percorso muta. In un miscuglio di Oriente e Occidente rivive sotto gli occhi del visitatore il sogno di Monet e acquistano significato le parole di René Gimpel: «Non è un prato, ma una foresta vergine di fiori, tutti dai colori accesi, niente rosa pallidi o azzurri tenui, solo rossi e blu».








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