Il capanno di Jourdan, 1906, Olio su tela; cm 65 x 81, Roma, Galleria nazionale d'arte moderna. Nel settembre 1906, a pochi mesi dalla morte, Cézanne scrive a Bernard: «Ho giurato a me stesso di morire dipingendo, anziché sprofondare nell'avvilente rimbambimento che minaccia i vecchi che si lasciano dominare dalle passioni abbrutenti». Il capanno di Jourdan è considerata l'ultima opera del pittore: la tela è rimasta incompiuta. | |
In un paesaggio del tutto frammentato, la costruzione si impone per la sua solidità regolare: i diversi corpi sono qualificati secondo una geometria netta, anche se il tetto, coperto dalle pennellate azzurre del cielo, non ha prospettiva. Il contrasto tra lo sfaldamento delle forme naturali e la linearità di quelle dell'edificio, va considerato tenendo conto dell'incompiutezza del quadro: con ogni probabilità l'artista avrebbe aggiunto altri elementi che avrebbero concluso la sua incessante indagine: «Raggiungerò lo scopo tanto cercato e per tanto tempo inseguito?», domanda a Bernard sempre nel 1906. «Lo spero, ma poiché non l'ho raggiunto mi pervade un vago stato di malessere, che sparirà solo quando avrò raggiunto il porto, cioè quando avrò realizzato qualcosa che si sviluppi meglio che in passato e allo stesso tempo dimostri le mie teorie. Queste sono sempre facili, è il provarle quello che presenta serie difficoltà. Continuo dunque i miei studi». Pochi artisti come Cézanne hanno consacrato la loro vita esclusivamente alla pittura: tutto è in funzione di essa. Con ciclicità l'artista torna sugli stessi temi, li abbandona e poi li riprende, in un lavoro continuo, un eterno ritorno. E dopo aver scardinato la tradizionale rappresentazione mimetica della natura, in questo ultimo quadro Cézanne sembra nuovamente ricomporre la forma in maniera leggibile. | |
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