San Francesco Borgia e il moribondo impenitente, 1788, Olio su tela, cm 350 x 300, Valenza, cattedrale.
Nel 1786 la contessa di Benavente, duchessa di Osuna, rinnova la cappella dedicata a un suo illustre antenato, san Francesco Borgia, nella cattedrale di Valenza. A Goya vengono affidati due episodi salienti della vita del santo: il momento della rinuncia alla famiglia e ai suoi beni terreni, avvenuto nel 1550 per dedicarsi alla chiesa, e il miracolo della liberazione dell'indemoniato. Quest'ultima composizione risulta estremamente importante: per la prima volta appaiono le immagini degli spettri infernali, dei mostri deformi che ricorreranno spesso nella pittura di Goya. La scena è divisa simmetricamente fra il bene e il male: a sinistra il male è definito dalla figura del moribondo con il volto sconvolto dal dolore fisico e morale; dietro di lui tre orrendi esseri infieriscono sulla sua anima, la zona è oscura e la tenda in alto incombe minacciosa. Nella parte destra, dove agisce il santo, vi è una grande finestra, simbolo di illuminazione divina. | |
La figura del moribondo, il corpo contratto, il torace rigonfio sul quale si concentra la luce radente e la mano che si aggrappa al letto, trova una corrispondenza nel Dolore di Andromaca di David, in cui tuttavia la rappresentazione del dolore risulta più contenuta entro i canoni della teatralità neoclassica. Ciò che colpisce è la visione profondamente pietosa che il quadro emana. L'opera è lodata dai contemporanei per il carattere immediato e facilmente comprensibile: tutto in questa scena diventa evidente al punto che il miracolo si visualizza nel getto di sangue lanciato dal piccolo crocifisso all'indemoniato, come se la redenzione avvenisse grazie a quella trasfusione reale. Per questo motivo Rosenblum ha affermato che il miracolo di san Francesco nella mani di Goya appare simile a un rito voodoo, vicino alla stregoneria popolare piuttosto che all'iconografia religiosa. | |
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