Goya
La maja desnuda La maja desnuda,
1797-1800 circa,
Olio su tela,
cm 97 x 190,
Madrid, Museo del Prado.


Questa tela e il suo pendant sono tra le opere più famose di Goya. Realizzate per il "principe della pace" Manuel Godoy, esse rappresentano verosimilmente la sua amante, Pepita Tudo, e non la duchessa d'Alba come si è ritenuto in passato. Godoy colloca le due opere nel suo gabinetto privato dove è sistemata una collezione di nudi femminili: fra questi la Venere allo specchio di Velázquez che gli era stata donata proprio dalla duchessa d'Alba. Per lungo tempo gli studiosi hanno ritenuto erroneamente che la Venere di spalle di Velázquez fosse complementare a una delle Veneri viste di fronte presenti nella raccolta, e che quindi anche il soggetto della Maja di Goya fosse stato concepito in una duplice visione.

Secondo la descrizione dell'incisore Pedro González de Sepúlveda che visita il palazzo di Godoy nel novembre del 1800, oltre al quadro di Velázquez nel gabinetto privato sono appese una Venere con un paesaggio di scuola italiana del XVI secolo e un'altra Venere, copia di una tela di Tiziano. Oltre alle opere in possesso di Godoy, altre possibili fonti iconografiche per La Maja sono state individuate nella produzione di Tiziano ospitata nelle collezioni reali spagnole: il Baccanale, la Danae e Venere e Cupido. Le opere di Tiziano dovevano essere uno spunto iconografico imprescindibile se, come nota Pérez Sánchez, anche Füssli nello stesso periodo sceglie per un suo nudo un riferimento all'opera del grande maestro veneziano.

Ciò che maggiormente colpisce in questa tela è il carattere realistico e sensuale che essa emana: la giovane maja, dalle proporzioni minute, si offre generosamente allo spettatore; il suo sguardo diretto non ha nulla di lascivo; il suo corpo è di un'orgogliosa naturalezza. Lontana dalle idealizzazioni dei prototipi la "maja" mostra con semplicità la verità di tutti i dettagli anatomici.

Ma mentre in Europa il nudo è un soggetto piuttosto comune, in Spagna viene tradizionalmente condannato: alcuni anni prima Mengs aveva dovuto addirittura salvare numerosi capolavori dal rogo. La Maja subisce una dura censura: alla caduta di Godoy il quadro viene confiscato prima da Ferdinando VII e nel 1813 dall'Inquisizione, che due anni dopo convoca Goya perchè dia spiegazioni di un'immagine così audace. Dopo la soppressione del Sant'Uffizio la tela viene nascosta nei depositi dell'Accademia di San Fernando fino al suo ingresso al Museo del Prado nel 1901.



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