Monet
Covoni alla fine dell'estate, effetto di luce mattutina Covoni alla fine dell'estate, effetto di luce mattutina,
1890-1891,
Olio su tela;
cm 60 x 100,
Parigi, Musée d'Orsay.

Durante un'esposizione tenutasi a Mosca nel 1896, davanti a un covone di Monet Kandinskij rimane folgorato dal «potere insospettato... della tavolozza».

«Mi trovavo per la prima volta di fronte a un dipinto rappresentante un pagliaio, come diceva il catalogo, ma che io non riconoscevo come tale. Questa incomprensione mi disturbava, mi indispettiva; ... sentivo sordamente che in quell'opera mancava l'oggetto (il soggetto), però con stupore e sgomento constatavo che non solo essa sorprendeva, ma si imprimeva indelebilmente nella memoria». Per il primo artista astratto si tratta di una sorta di "rivelazione premonitrice".

Dalle finestre della sua casa di Giverny Monet poteva osservare i covoni dei contadini e già da parecchi anni nei suoi dipinti comparivano questi pagliai, ma soltanto con un ruolo secondario. A partire invece dall'autunno del 1888 e soprattutto nell'inverno del 1890, Monet li trasforma in veri e propri soggetti, colpito, come racconta Geffroy, dalla loro «forma pura». «C'è da diventare pazzo furioso quando si cerca di rendere il tempo, l'atmosfera, l'ambiente; [...] sgobbo molto, mi stordisco su una serie di effetti differenti [...] occorre lavorare molto per arrivare a rendere quel che cerco: "l'istantaneità", soprattutto lo sviluppo, la medesima luce riprodotta dappertutto» scrive Monet nelle sue lettere all'amico.

Egli prende a dipingere i covoni a tutte le ore del giorno, nelle diverse stagioni e con ogni variazione ambientale; in questo caso sono dipinti come appaiono alla fine dell'estate, con l'effetto della luce mattutina: ma gli stessi covoni si tingeranno di rosa, di blu, di giallo a seconda dell'istante che Monet fisserà sulla tela.

Nel 1891 Durand-Ruel organizza una mostra di Monet e, delle ventidue opere esposte, quindici sono pagliai: è un successo di vendite, ma certo la gente e i critici le guardano anche con molta ironia, non riuscendo a capire il senso e il valore della "serie". L'intuizione di Monet, in effetti, è folgorante, forse troppo anticipatrice rispetto ai tempi: dipingere lo stesso oggetto più e più volte gli permette di concentrarsi non più sul soggetto in sé, ma sulla forma pura, studiando «l'irradiazione molecolare della luce» e la frammentazione della materia.

I contorni dei covoni infatti "tremano", si dissolvono, ma è proprio questa dissoluzione che permette a Monet di fare il grande salto: dalla rappresentazione del valore transeunte di un oggetto, all'espressione dell'indefinibile essenza dell'essere.

I covoni sono solo il primo passo di un processo che richiederà anni e anni d'esperienza per arrivare a sfiorare con le ultime ninfee l'astrazione pura.



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