Portale, armonia in blu, 1893-1894, Olio su tela; cm 91 x 63, Parigi, Musée d'Orsay.
Nel 1895 si tiene alla galleria Durand-Ruel una mostra comprendente venti delle cinquanta cattedrali realizzate da Monet durante i due soggiorni a Rouen nell'inverno del 1892 e del 1893. In quell'occasione Clemenceau, in un articolo intitolato La rivoluzione delle cattedrali, scrive che «il pittore ci ha dato la sensazione che le tele avrebbero potuto essere cinquanta, cento, mille, tante quanti i minuti della vita». In effetti, per comprendere la portata delle cattedrali, è necessario considerarle nella loro totalità. Monet vi lavora con grande sistematicità, cercando di cogliere di mezz'ora in mezz'ora ogni variazione e associando ogni tela - ogni "istante" - a un tono di colore. La materia del mondo reale appare così frantumata e il motivo pittorico, la cattedrale, si dissolve nella purezza e nell'armonia cromatica del pigmento. | |
Dopo aver dipinto dalla finestra di un negozio di moda, il pittore sceglie un altro punto di vista che modifica la veduta della cattedrale, ma non la tecnica d'esecuzione: Monet, infatti, dopo aver fissato l'impressione generale e l'effetto luce-colore, annota alcuni dettagli salienti, che utilizza per la realizzazione finale. In tal modo s'inserisce nel suo procedere un elemento nuovo, di mediazione tra sé e l'impressione: la memoria. La superficie della cattedrale, dirà Argan, diventa un «grande schermo obliquo [...] tormentato da scavi e risalti, che mettono in vibrazione l'atmosfera vaporosa, violacea, in cui è avvolta: la poca luce fredda che penetra attraverso quella coltre e viene rimandata dalla pietra si rifrange in un gioco mobilissimo di raggi e di riflessi». Il motivo ripetuto della cattedrale, ripresa a distanza ravvicinata e quindi dilatata, confusa, diventa per Monet il mezzo per cogliere «l'istantaneità» di un oggetto e fissarlo nella percezione, afferrandone il tempo soggettivo, la durata nella continuità della coscienza. Giudizi entusiastici accolgono le cattedrali: Cézanne, Degas e Renoir le salutano con infinita ammirazione, Pissarro le descrive come «l'opera di un volitivo, ponderata, che insegue le minime sfumature degli effetti che non vedo realizzati da nessun altro artista». Anche Proust ne rimane colpito, tanto che nella Recherche Madame de Cambremer, pur affermando la sua passione per Manet, dirà: «Ma credo di preferirgli Monet. Ah! Le cattedrali!». | |
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