Tiziano
Concerto Concerto,
1507-1508,
Olio su tela;
86,5 x 123,5 cm
Firenze, Palazzo Pitti, Galleria palatina.

Con le Tre età a Pitti, databile intorno al 1505, Giorgione stabilisce un prototipo per il genere pittorico del concerto, recepito nella cultura di corte e di città come esaltazione della musica buona, nobile e ordinata che si esegue con la voce umana e/o con gli strumenti a corde. Il Concerto della stessa galleria fiorentina, un tempo ritenuto anch'esso di Giorgione, è ormai concordemente inserito tra le prime opere di Tiziano attorno al 1507-1508 in virtù della concentrazione psicologica e del

realismo fisionomico "alla tedesca" che - almeno nei due protagonisti principali - sembrano programmaticamente contraddire le dolci e rallentate vaghezze dell'enigmatico maestro di Castelfranco.
Si tratta di due concerti interrotti, perché il tempo sublime e astratto della musica è in ogni caso costretto a subire la strapotente interferenza del tempo reale del mondo: ma la posizione dei due pittori è completamente diversa.

Giorgione sceglie una soluzione didascalica e ottimistica: nel momento in cui il vecchio, volgendosi verso l'esterno, esce dal metaforico concerto di voci, dall'accordo armonico dell'esistenza, il fanciullo col foglio di musica resta interdetto; ma l'adulto lo esorta ad andare avanti, con gesto esplicativo. I fondamenti dell'armonia - di una cultura ottimisticamente identificata con la vita stessa - si manterranno intatti nella tradizione, nel passaggio di generazione in generazione: anche se continuamente qualcuno, finita la sua parte, deve uscire di scena.

Tiziano sceglie una soluzione concettuale e moralistica: il chierico a destra posa una mano sulla spalla del gentiluomo alla spinetta, lo costringe a volgersi, interrompe l'esecuzione, stabilisce che l'accordo delle dita nervose sui tasti è, almeno per il momento, l'ultimo. Questo chierico non è un guastafeste dispettoso: è anch'egli un musico (vediamo parte del suo strumento), e forse fino a pochi istanti prima partecipava all'esecuzione. Il suo viso è serio e dispiaciuto: magari non vorrebbe, ma è proprio tempo di passare ad altra incombenza.

In tal modo richiama il gentiluomo al tempo diversamente sublimato - ma pur sempre presente, reale, scandito dall'ora - della meditazione religiosa, della devozione istituzionalizzata (altrimenti, perché affidare il richiamo proprio a un uomo di chiesa?); e lo sottrae al rapporto col giovane elegante dal cappello piumato e dal lieve sorriso, un giovane che ha già dato per scontato il dominio del tempo del mondo, accettandone in pieno termini e limiti, e non può essere toccato o interessato dal richiamo.

Non si può escludere che il dipinto discuta inoltre, sotto il velo del suo singolare allegorismo, una questione di teoria e pratica musicale: il contrasto tra musica religiosa e musica profana.



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