L'uomo dal guanto, 1520-1523, Olio su tela; 100 x 89 cm Parigi, Musée du Louvre.
La ritrattistica veneziana di primo Cinquecento, dopo essersi faticosamente staccata dalla tradizionale rappresentazione di profilo, fatica ancora a lungo a staccarsi dal parapetto: intendiamo con ciò proprio quell'ostacolo artificiale di finto marmo o legno frapposto tra noi e il rappresentato per ritagliarlo nella sua dimensione reale o astratta, per determinare, isolandola, la sua identità e personalità, per evitare, quasi, che si stabilisca un'eccessiva intimità, un troppo marcato coinvolgimento, se non del pittore, certamente dello spettatore. | |
inavvicinabili, tutti proiettati su di sé per orgoglio, introversione o narcisismo. Dietro il parapetto, insomma: quello dipinto come quello dello status, della forma, del bon ton. Ciò non toglie che a quel parapetto possano essere appese informazioni per altro verso interessanti: spesso, il cartellino con la firma del pittore; o magari le iscrizioni/sigla VV o VVO, che potranno essere sciolte come massima morale riferita alle qualità del personaggio («Virtus Vincit», «Virtus Vincit Omnia»), o, in linea con l'uso antico, come multipla notizia di cronaca («Vivus Vivo»), ossia quale garanzia del fatto che il personaggio è ritratto da vivo (e non post mortem, come pure assai spesso si faceva) e che il pittore, ovviamente vivo a sua volta, era perfettamente in grado di ritrarlo dal vivo (in posa e presa diretta) e al vivo (cioè con perizia di mimesi, con vivezza di rappresentazione e somiglianza). Per uscire dai giochi di parole sulle più o meno enigmatiche sigle, vediamole direttamente nel Ritratto Giustiniani di Giorgione e nel Ritratto Goldman, che, conteso tra Giorgione e Tiziano, e molto restaurato/ridipinto, oltre che troppo spavaldo, duro, aggressivo nel soggetto e nella sua resa, ha buone possibilità di non appartenere né all'uno né all'altro. La spavalderia di Tiziano è elegante, beneducata, assolutamente soft: la vediamo nel celebre Gentiluomo di Londra, che ci lancia uno sguardo veloce e sicuro al di sopra dello splendido giubbone azzurro e del fastidioso parapetto, opportunamente "sfondato" dal braccio. (Per la cronaca: sul parapetto c'è la sigla TV, Tiziano Vecellio, ma s'intravedono tracce di altre lettere. La presunta autoaffermazione del giovane Tiziano sembra piuttosto la presuntuosa autoaffermazione di un restauratore moderno). Le caratteristiche dei ritratti di Tiziano vengono successivamente esaltate all'atto dell'ingresso del pittore nel sistema culturale cortigiano. Per L'uomo dal guanto, che va con ogni probabilità riferito alla corte gonzaghesca di Mantova, sono state proposte diverse identificazioni, assai poco convincenti, con relative datazioni, assai poco vincolanti. Scomparso il parapetto e allungato il taglio della figura, il giovane gentiluomo si presenta abbigliato con sobria eleganza, abito nero sulla bianca camicia, con lo sguardo teso e sfuggente nel volto dal mento debole e dai baffetti radi, con la mano nervosa dove si leggono le vene; tanta costretta austerità appare tuttavia attenuata dalla raffinatezza degli accessori, il pendant, l'anello con lo stemma e, naturalmente, gli eponimi guanti di morbida pelle. L'uomo dal guanto deve essere collocato al culmine di una serie di ritratti - tutti di personaggi non identificati o solo dubitativamente identificati - dalla quale presentiamo il più vivace (per espressione e abbigliamento) Giovane in pelliccia di New York, il severo e distinto Ritratto di giovane gentiluomo di (Old) York, l'ombroso e ipersensibile Giovane gentiluomo a Pitti (spesso identificato con Tomaso o Vincenzo Mosti, personaggi legati alla corte estense di Ferrara). Tutti si caratterizzano per il raffinato attributo dei guanti. Tutti ostentano la «sprezzatura» spiegata e prescritta nel celebre Libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione: un'eleganza che è soprattutto disinvoltura, una grazia artificiosa che non mostra artificio o affettazione. | |
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