Venere di Urbino, 1537-1538, Olio su tela; 119 x 165 cm Firenze, Galleria degli Uffizi. Nell'arco del 1538 Guidubaldo della Rovere, figlio di Francesco Maria ed Eleonora Gonzaga signori di Urbino, sollecita più volte il suo agente a Venezia all'acquisto della «donna ignuda» che è in mano a Tiziano e al tempo stesso chiede in maniera pressante alla madre restia il denaro necessario. Questa «donna ignuda» è la celebre Venere di Urbino, che alcuni hanno interpretato come sublimante allegoria di un legame matrimoniale in termini di neoplatonismo e nel segno della | |
Venere celeste, altri come ritratto esplicitamente erotico di un'anonima cortigiana veneziana, senza alcun riferimento a Venere e al matrimonio, altri in termini di auto-conoscenza del corpo e igiene ginecologica. Non si capisce, però, perché mai il riferimento matrimoniale dovrebbe necessariamente chiamare in causa Venere celeste e Amore sublimato, perché mai l'erotismo dovrebbe entrare in gioco solo se si presuppone che la giovane nuda possieda competenze amorose da "professionista", perché mai dovremmo sospettare un'attitudine auto-erotica in una giovane così ostentatamente rivolta verso lo spettatore: tanto più se facciamo lo sforzo di pensarla nell'atto di "invitare" non certo il grande pubblico del museo dove oggi si trova, ma chi poteva entrare nella dimensione, ovviamente privata e riservata, della camera da letto di allora, suggerita anche da quella sorta di parete divisoria che occupa la metà del dipinto. La modella della Venere è inoltre la stessa della cosiddetta Bella di Palazzo Pitti, documentata al 1536 nel carteggio del serissimo duca Francesco Maria, che si presenta con gli attributi simbolici della giovane sposa: la collana e la cintura a catena, la pelliccetta di martora. Non v'è dubbio che la Venere sia un quadro clamorosamente erotico: basta osservare il letto dalle lenzuola stropicciate, lo sguardo invitante e i capelli sparsi sulle spalle, la mano che nascondendo richiama e suggerisce, con l'ausilio di un'ombra profonda, quel che non si può rappresentare. E non v'è dubbio che la protagonista sia Venere: ma naturalmente una Venere mondana a palazzo, con gli attributi amorosi delle rose nella mano e del mirto sul davanzale, con le ancelle che traggono dal cassone nuziale le ricche vesti che le competono. Si tratta insomma di un quadro che sottolinea l'importanza della dimensione erotica all'interno del matrimonio. Di conseguenza, ricordando che Guidubaldo aveva sposato nel 1534 per ragioni politiche Giulia Varano da Camerino, allora fanciulla di dieci anni, possiamo facilmente supporre che La bella sia il ritratto "cerimoniale" della sposa. Qualche anno dopo Guidubaldo ritenne opportuno persuadere e istruire al connubio quella sposa ancora adolescente, fornendole un modello appropriato e culturalmente inattaccabile, e Tiziano entrò allora in gioco con la Venere, capolavoro di erotismo e funzionalità, ma anche di elegante travestimento. Forse questi non sono i soli quadri di Tiziano che riguardino questa vicenda urbinate. Anche se non possediamo documenti in proposito, è evidentemente la stessa modella quella che compare ancora nel ritratto viennese di Fanciulla con pelliccia, carica di gioielli d'apparato nuziale, che copre un seno ed esibisce l'altro: rinviando dunque alla celebre Laura di Giorgione, che già abbiamo identificato come ritratto simbolico di giovane sposa. | |
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