Coronazione di spine, 1540-1542, Olio su tavola; 303 x 181 cm Parigi, Musée du Louvre.
La Coronazione di spine oggi al Louvre fu eseguita da Tiziano fra 1540 e 1542 per la chiesa di Santa Maria delle Grazie in Milano e in particolare per la cappella della confraternita intitolata alla Santa Corona (sì, proprio la corona posta sul capo di Cristo, della quale possedeva una reliquia delle 250 censite nella sola Italia...). Era allora governatore di Milano il marchese del Vasto Alfonso d'Avalos, patrono dell'Aretino e di Tiziano, che stava già preparando per lui l'Allocuzione oggi al Prado, consegnata nell'agosto del 1541 in occasione dei festeggiamenti per l'ingresso dell'imperatore Carlo V in città. Tiziano, già in caccia di benefici ecclesiastici per sistemare il figlio Pomponio, contava di profittare della situazione per ottenergli un canonicato in Santa Maria della Scala. L'esecuzione della pala dipende da un multiplo intreccio di motivazioni personali, politiche, religiose. | |
Cristo, che ha un'espressione di concreto dolore sul volto e che dai movimenti del corpo e delle gambe sembra abbozzare una qualche reazione ai tormenti (sia i movimenti che l'espressione, comunque, provengono direttamente dal Laocoonte), è in tal modo esaltato, secondo il modello aretiniano, proprio nella sua terrena umanità. Altri dettagli hanno invece un forte rilievo metaforico. Come spiegano le scritture devozionali dell'epoca sulla scorta della tradizione patristica, la canna - vuota, fragile, sterile - indica l'antica legge ebraica, ma, posta in mano a Cristo, diventa robusto scettro di giustizia, immagine del nuovo patto; l'onorifica veste di porpora, datagli in segno di scherno, denota il sangue del sacrificio e della redenzione. In alto, sopra l'ingresso al tribunale, sta come di prammatica un busto di imperatore romano: l'iscrizione specifica «TIBERIVS CAESAR», come sarebbe corretto dal momento che sotto Tiberio ebbe luogo la passione di Cristo; ma il volto grassoccio con la bocca infantile e i capelli ricciuti è invece inequivocabilmente quello di Nerone, come ci è stato tramandato da parecchi "ritratti" antichi e moderni, incluso quello eseguito dallo stesso Tiziano nella serie dei dodici Cesari per l'apposito camerino mantovano di Federico Gonzaga, perduti ma abbondantemente testimoniati da copie e incisioni di traduzione (dove possiamo controllare, oltre all'aspetto di Nerone, quello diversissimo di Tiberio dall'aguzzo profilo). Essendo del tutto implausibile un errore in proposito da parte di Tiziano, la sostituzione deve essere intenzionale e funzionale. Forse la chiave è ancora in un passo dell'Umanità di Cristo, dove il pessimo Caifa, gran sacerdote degli ebrei e principale responsabile del martirio di Cristo, è detto «di natura e di effigie simile al conio di Nerone». Tre nemici storici di Cristo e dei cristiani sarebbero in questo modo magnificamente sintetizzati in un'unica immagine simbolica: Nerone per la figura, Tiberio per l'iscrizione, Caifa per l'analogia. | |
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