Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese, 1546, Olio su tela; 210 x 174 cm Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte.
I Farnese si rivolsero per la prima volta a Tiziano nel 1542, chiedendo il ritratto di Ranuccio, nipote del papa, allora dodicenne. L'iniziativa fu presa dal cardinale Alessandro, che poco dopo propose al pittore di trasferirsi a Roma per entrare al servizio del papa. Tiziano non ne aveva la minima intenzione, ma i Farnese gli fecero balenare dinanzi agli occhi la possibilità di assegnare allo scapestrato figlio Pomponio, per il quale il pittore cercava a tutti i costi una sistemazione, il ricco beneficio ecclesiastico dell'abbazia di San Pietro in Colle nel territorio di Ceneda. | |
In questo periodo Tiziano dipinse i ritratti di Paolo III senza camauro e con camauro, oggi a Capodimonte. Nel luglio se ne tornò a Venezia, certo di avere già in tasca la concessione del beneficio promesso. Passavano i mesi: senza alcuno sviluppo della faccenda, ma con la commissione, intanto, di un altro quadro per il cardinale, la Danae. Nel settembre 1544 il letterato Giovanni della Casa, nunzio apostolico a Venezia, scrive al cardinale che Tiziano, pur di ottenere il beneficio, è pronto a venire a Roma e a ritrarre tutta la famiglia farnesiana, «fino alle gatte». In realtà il pittore si decise al grande passo soltanto nell'ottobre 1545. Completò la Danae, eseguì altre opere di cui poco o nulla sappiamo, e soprattutto dipinse lo straordinario ritratto di Paolo III con i nipoti. Nel giugno del 1546, di nuovo convinto di aver finalmente raggiunto l'obiettivo tanto a lungo perseguito, riprese la via di Venezia, promettendo di tornare quanto prima. Non tornò mai, e mai ebbe il sospirato beneficio. A Roma aveva avuto vitto, alloggio e molti onori; ma non risulta che le pitture gli siano mai state pagate. Il triplo ritratto è un'immagine funzionale prodotta dalla ragion di famiglia, piuttosto che di Stato: un manifesto del sistema nepotistico e un programma politico per l'immediato futuro. Papa Paolo III si è fatto rappresentare insieme a Ottavio, erede del nuovo ducato di Parma e Piacenza, e insieme ad Alessandro, candidato alla successione al soglio pontificio. Ottavio è impegnato in un inchino, ovvero in una fase intermedia della cerimonia ufficiale della riverenza al pontefice, che prevedeva tre inchini e si concludeva con il bacio del piede, non a caso in bella evidenza nella pantofola vermiglia con la croce d'oro. L'atteggiamento ossequioso e ambiguo, sempre rilevato dalla critica, corrisponde in effetti al temperamento prudente e riservato del giovane duca, che mostrò in ogni occasione la massima accortezza politica. Il cardinale Alessandro è ritratto in un gesto che illustra la sua ossessiva ambizione: la mano s'afferra alla sedia del papa, dichiarando la brama di poterla un giorno occupare. Il gesto è ripreso dal ritratto di Raffaello con papa Leone X tra i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi: ma lo faceva il cardinal de' Rossi, che non divenne papa e anzi morì prima di Leone X. Non era certo un segno di buon augurio per Alessandro, che difatti fallì regolarmente l'obiettivo. Papa Paolo è rappresentato nella decadenza fisica che annuncia l'imminenza della morte: a sottolineare l'ineluttabile scorrere del tempo, c'è sul tavolo la clessidra. Eppure questo vecchio curvo e rinsecchito ancora non s'arrende: stringe convulsamente il bracciolo, ostenta l'anello del potere pontificio. E si guarda intorno con occhi acuti, vigili, interrogativi: quando lui non ci sarà più, i due giovani nipoti - che oltretutto si odiano, e neppure troppo cordialmente - saranno capaci di mantenere la grandezza del casato? Tiziano vide perfettamente tutto questo. Vide, e dipinse, la compressa ambizione del cardinale Alessandro, la molle ruffianeria del duca Ottavio, l'indomita vecchiezza di papa Paolo. Con tre soli colori, quelli che al grande pittore bastano e avanzano: il bianco, il rosso, il nero. L'esecuzione del dipinto fu interrotta perché il successivo mutamento del programma politico di Paolo III lo rese di fatto inutile, non certo perché Tiziano volesse fare un dispetto al papa. Ma è curioso che, partendo, non riuscì a finire proprio la mano destra del pontefice, la mano che molto gli aveva preso e poco gli aveva dato. | |
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