Tiziano
Adorazione della Trinità Adorazione della Trinità (La Gloria),
1551-1554,
Olio su tela;
346 x 240 cm
Madrid, Museo del Prado.

L'Adorazione della Trinità è forse il titolo migliore per questo dipinto di iconografia estremamente complessa, che nei documenti cinquecenteschi è alternativamente o contemporaneamente ricordato come Trinità, Paradiso, Giudizio e infine Gloria, denominazione largamente diffusa e una volta tanto non malvagia che permette di riassumere in termini generali le diverse connotazioni suddette, tutte in qualche misura corrette e significative. Dietro la commissione dell'imperatore Carlo V, senz'altro la più impegnativa e prestigiosa per Tiziano, dobbiamo immaginare la determinante presenza di ferratissimi consiglieri in materia teologica.
Il significato di gloriosa visione celeste è accentuato dalla luminosissima qualità dei colori, che sfumano in alto in una splendida foschia dorata, nonché dalla contrapposizione della privilegiata cerchia in volo alla sfera terrena del paesaggio naturale in basso, dove peraltro si intravede l'episodio dell'uccisione di san Pietro martire, strenuo persecutore di eretici e difensore della Trinità.

L'anello dei personaggi più in basso include, da sinistra a destra, un personaggio con turbante sul capo e cartiglio nella mano destra, che, proprio per questi attributi, non è certo Giovanni Evangelista (come spesso si scrive) ma Ezechiele, profeta del Giudizio, a cui pure compete l'attributo dell'aquila (Ezechiele 17, 3); seguono Mosè con le tavole della legge (una delle quali è curiosamente sostenuta anche dalla mano sinistra di Ezechiele) e Noè con l'arca su cui posa la bianca colomba con l'ulivo; a destra c'è David col suo tradizionale strumento musicale, il salterio. A sinistra e un po' più in alto di David, c'è una donna di spalle vestita di verde: non si tratta davvero di un'inappropriata Maddalena né di una altrettanto inappropriata personificazione della Sinagoga (come pure si scrive), ma della Sibilla eritrea, la più importante delle Sibille, che - associata a David nel Dies irae («solvet saeclum in favilla / teste David cum Sybilla») - configura un'altra allusione al tema del Giudizio.

A sinistra, sopra Ezechiele, si incontrano altri profeti in vari atteggiamenti e ci s'imbatte infine in san Giovanni Battista, ultimo profeta del vecchio mondo e primo del nuovo, che sembra aprire la strada alla splendida figura ammantata d'azzurro di Maria mediatrice. Siamo ormai giunti alle sfere supreme, alla gloriosa manifestazione della Trinità, alle nuvole luminose dove siedono, pressoché identici, Padre e Figlio ai lati dell'ectoplasma dorato della colomba dello Spirito Santo, perfettamente in asse con la sua manifestazione terrena e "storica" nella colomba posata sull'arca di Noè.

In alto a destra, introdotta da schiere angeliche, si snoda in adorazione l'intera famiglia imperiale: in "pole position" sta naturalmente Carlo V, che ha deposto la corona su una nuvola; segue l'imperatrice Isabella, già da tempo defunta; poi Filippo, Maria d'Ungheria e altri. Nelle posizioni di rincalzo c'è addirittura Francisco de Vargas, legato imperiale a Venezia, che aveva espressamente richiesto a Tiziano l'inserimento del ritratto con la riserva che qualsiasi pittore spagnolo potesse poi coprirlo «con due pennellate» qualora l'imperatore non avesse gradito la sua presenza (ma, stando a quel che vediamo, non ci furono problemi); e c'è infine l'inconfondibile, aguzzo profilo del già vecchio Tiziano, da porre a confronto col più tardo autoritratto del Prado.

Poiché questi personaggi si presentano in maggioranza avvolti in un candido lenzuolo, dobbiamo intenderli come anime risorte, in attesa del Giudizio (il Giudizio Particolare, e non il Giudizio Universale o Finale, che prevede tutt'altra iconografia, con l'immancabile cerchia degli eletti contrapposta a quella dei dannati) e dell'accesso alla suprema beatitudine del Paradiso, dell'agostiniana Città di Dio. In tal modo i diversi spunti tematici si fondono in una grande macchina pittorica di straordinaria funzionalità teologico-politica che riunisce corte celeste e corte imperiale, assicurando alla dinastia asburgica il riconoscimento delle divine gerarchie.



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