Autoritratto, 1560 circa, Olio su tela; 96 x 75 cm Berlino, Staatliche Museen P. K., Gemäldegalerie.
Nell'Autoritratto di Berlino, Tiziano si presenta con la consueta berretta nera e un camicione piuttosto "arty", nobilitandoli però col mantello guarnito di pelliccia e soprattutto con l'onorifica catena di Conte Palatino e cavaliere dello Sperone d'oro donatagli da Carlo V. | |
Nel Cinquecento è piuttosto diffuso l'autoritratto inserito in una storia, in forma diretta (Tiziano con la famiglia imperiale nella Gloria) o in forma mascherata (Tiziano come Nicodemo nella Deposizione nel sepolcro e come san Gerolamo nella Pietà). L'autoritratto "indipendente" è invece piuttosto raro; si sviluppa tuttavia proprio nella seconda metà del secolo, quando cresce l'interesse per la personalità dell'artista (basti pensare alle biografie del Vasari) e si afferma una nuova consapevolezza del suo ruolo nella società. L'autoritratto "indipendente" risponde dunque a determinate e costanti caratteristiche: propone l'immagine del grande artista nella sua "unicità"; la qualifica con la specificità degli attributi del mestiere, con la riconoscibilità dei tratti fisionomici, con la dignità dell'abito; la conferma col formato dell'opera, identico a quello dei ritratti altrui. Le particolarità dell'Autoritratto di Berlino sollecitano comunque una serie di domande. Il dipinto aveva un committente, o Tiziano lo ha dipinto per sé? Perché siede a un tavolo? Perché non guarda verso lo spettatore? Perché il viso è eseguito con eccezionale accuratezza, mentre gli abiti sono realizzati con tocchi veloci (peraltro di straordinaria efficacia) e le mani sono poco più che abbozzate? Sono domande difficili, e la prima, in assenza di documenti, è addirittura impossibile: ma qualche risposta può essere almeno tentata. Tiziano siede a un tavolo perché questa iconografia era di prammatica per l'umanista, lo studioso, il sapiente, e il pittore intendeva rivendicare pari dignità. Licenzia un'immagine (ma è la "sua" immagine!) a tre diversi livelli di finitura per mostrare la tensione dell'esperienza artistica tra concezione ed esecuzione, il suo carattere di inesauribile ricerca, il suo destino di incompiutezza; e per affermare che in ogni caso spetta soltanto a lui decidere il momento in cui l'opera è "finita". Espone le mani assai più di quanto normalmente usava, e solo abbozzate proprio per metterle in ulteriore evidenza come il vero strumento del suo lavoro: per questo può fare a meno del pennello. L'ultima risposta richiede, oltre al confronto con l'Autoritratto del Prado, una sottolineatura tanto ovvia quanto fondamentale: Tiziano fa i suoi autoritratti da vecchio. È vecchio in quello di Berlino, è vecchissimo in quello del Prado. La differenza di significato - considerando che nella nostra cultura si legge inevitabilmente un'immagine, come un testo, da sinistra verso destra - è tutta nell'orientamento dello sguardo: nel primo caso, è rivolto a destra, ossia "avanti"; nel secondo, è rivolto a sinistra, ossia "indietro". Nell'Autoritratto di Berlino, Tiziano si rappresenta come un uomo che ha creduto nel suo mestiere e che attraverso il mestiere ha raggiunto il successo, gli onori e l'agiatezza: un uomo già vecchio che può e vuole ancora guardare al futuro. L'Autoritratto del Prado è invece la testimonianza estrema, ma dignitosa e consapevole, del ripiegamento sul passato: non diversamente dal corrucciato profilo del pittore che, sempre orientato a sinistra/all'indietro, scruta la penombra del tempo andato nella celebre Allegoria della Prudenza. | |
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