Il supplizio di Marsia, 1570-1576, Olio su tela; 212 x 207 cm Kromeríz (Repubblica Ceca), Pinacoteca del Castello. Dopo le storie della crudele Diana e quelle delle fanciulle spaventate tra le onde, dopo il tristissimo addio alla natura primitiva e libera - e alla pittura veneziana di inizio Cinquecento, compresa la sua - pronunciato ancora con malinconica dolcezza nel Bacco e Arianna di Vienna (cosiddetto "Ninfa e pastore"), un ulteriore scarto interpretativo, fondato su un giudizio morale spinto a quella assoluta intransigenza che lo trasforma in giudizio storico, conduce Tiziano a due dipinti mitologici che vanno molto al di là del testo e del significato delle Metamorfosi di Ovidio, due capolavori estremi senza storia e senza destinatario, straordinariamente innovativi per interpretazione ed esecuzione: la Morte di Atteone e Il supplizio di Marsia. | |
Il tema della contesa musicale che vede Apollo protagonista, e naturalmente vincitore, contro Pan o contro Marsia - già diffuso nella cultura figurativa di inizio secolo, spesso con sovrapposizioni e scambi tra i diversi personaggi dei due episodi ovidiani (Apollo, Pan e Mida: Metamorfosi XI, 146-193; Apollo e Marsia: Fasti VI, 697-710, e Metamorfosi VI, 382-400) - non sembra perdere favore in anni successivi. Tintoretto, per esempio, esegue un "soffitto" con Apollo e Marsia per la casa di Pietro Aretino, che lo ringrazia in una lettera del febbraio 1545. Nei testi ovidiani, Marsia è un satiro; ma nella maggior parte delle fonti e figurazioni classiche e moderne diventa un pastore o un contadino. Se fosse altrimenti, Marsia potrebbe infatti essere confuso con Pan, e questo non è accettabile. Pan, metà uomo e metà capro, è pur sempre il dio minore dell'armonia mondana e naturale; può e deve perdere la contesa con l'armonia divina di Apollo, ma a trarne discapito è soltanto Mida, che, pronunciandosi a favore della zampogna del dio campestre e trascurando la lira del dio solare, si guadagna le orecchie d'asino a contrassegno della sua stoltezza di giudizio. Marsia è invece un satiro di infima categoria: il suo posto nelle gerarchie può dunque essere identificato con quello del "villano", e la sua presunzione va punita senza pietà. Per questa stessa ragione - ossia per rimarcare la follia di un giudizio contro il dio e a favore del ribelle - Mida passa di frequente dalla vicenda di Pan a quella di Marsia. La punizione di Marsia è la morte per scorticamento: ovvio che di norma le immagini non si soffermino su questa conclusione, che certo non accredita le decantate qualità apollinee di ordine e giustizia. Tiziano sceglie proprio questo momento del mito, derivandone l'iconografia da un'invenzione di Giulio Romano per Palazzo Te a Mantova - meglio valutabile nel disegno autografo del Louvre - ma stravolgendone il significato con qualche determinante variazione. Andrà subito precisato che purtroppo ci sono altre variazioni, e confusioni, dovute a una finitura "commerciale" realizzata da qualche seguace di Tiziano dopo la morte del maestro: il portatore di lira antica - che si vede nel disegno di Giulio Romano, nelle radiografie del quadro di Tiziano e in una copia eseguita in bottega prima delle modifiche - è diventato un superfluo "secondo Apollo" con la moderna lira da braccio; mentre il satiretto e il grosso cane in basso a destra sono stati aggiunti di sana pianta. La nuova posizione frontale di Marsia appeso centralmente a testa in giù permette di stabilire una chiarissima distinzione compositiva. A sinistra, Apollo scortica personalmente il disgraziato satiro, sia pur con la collaborazione di un professionista; in origine, un "assistente" gli reggeva la lira. A destra, un secondo satiro - che potrebbe essere addirittura il dio Pan - porta un secchio: se vuoto, servirà a raccogliere il sangue del sacrificio; se pieno d'acqua, ad alleviare la sofferenza del compagno. Accanto a lui sta Mida, con la corona d'oro in evidenza sul capo, assorto in triste meditazione e profonda commiserazione. A sinistra, dunque, chi è dalla parte di Apollo; a destra, chi è dalla parte di Marsia. Mida, rappresentato nell'atteggiamento tipico del melanconico, è inequivocabilmente un autoritratto di Tiziano, come si deduce dal confronto con l'Autoritratto del Prado. Seguace della dimensione naturale di Bacco e di Pan, Mida è immagine di un giudizio umano che pone in dubbio la pretesa superiorità dell'armonia divina e chiede ragione del delitto del potente. L'identificazione iconografica Mida-Tiziano dice con assoluta chiarezza che il giudizio di Mida è in realtà il giudizio stesso dell'artista, stolto non per aver rifiutato la supremazia e l'autorità del dio, ma, come spiega la corona sfavillante sui capelli grigi, per aver creduto all'illusione del tocco d'oro: la lunga illusione del "tocco d'oro" del grande pittore, l'antica presunzione di trasmutare la materia in immagine preziosa, spenta dalla coscienza finale dell'assoluta irrilevanza dell'operazione artistica di fronte alla disgrazia della storia. | |
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